-Proust-à-porter-
gioco di parole.
Etimologia. Proust-à-porter è per me un gioco di parole, che richiama il mondo della letteratura, nell’appellativo di Proust – quale miglior testimonial, no? – e quello del prêt-à-porter, nella moda, ovvero “pronto per essere indossato”.
Eccoci al senso.
Sono di fronte ad un filmato in videocassetta di me a sette anni, con mia madre che incalza «Fai vedere la tua cameretta, ecco. Qual è il tuo colore preferito?», la piccola me: «Azzurro-turchese.»
E cosa ti piace fare nel tempo libero?» «Leggere.» «E perché?» «Perché vedo tante cose.»
Come oggi, più volte mi è capitato di soffermarmi a riflettere su quanto sia stimolata la nostra immaginazione visiva nell’atto di leggere.
Ogni lettura per noi è accompagnata da immagini, mentali certo, ma che sono in grado di tenerci avvinti a lungo, in completo isolamento e immobilità.
Sono convinta che, più di tutto, leggere ci dia la possibilità di esercitare la potenza della nostra forza creativa e immaginifica.
Allora, vengo al punto, mi è venuto da pensare che la letteratura fosse per noi il corrispettivo del “prêt-à-porter” nella moda: “pronta all’uso”.
Senza il bisogno di ulteriori adattamenti sartoriali su misura ̶ pronta, perché la nostra fantasia possa indossarla e inscenarla: al suo meglio.
Intenzioni. E così discorrendo, per quanto mi riguarda, ho scelto di scrivere di libri. Quelli che mi hanno più colpito e stimolato l’immaginazione.
Ho poi scoperto d’essere spesso a tal punto sollecitata dalle immagini di ciò che leggo (di interessante), da indossare, questa volta letteralmente, accostamenti di vestiti ad esse ispirati. Ho deciso così di iniziare a farlo in maniera più consapevole e seriale, fotografandone il risultato. Sindrome di Zelig? Può essere. Ho pensato in ogni caso di condividerla con voi in questo blog.